Racconti in italiano

MCVI A.S.

José Altamirano

Argentina

A Eduardo Carletti
perché lascia tracce


Arriviamo al molo dopo due ore di tranquillo cammino. È deserto come quasi sempre, per cui ci sdraiamo sull'erba soffice e verde ad aspettare il passaggio dell'imbarcazione che risale il fiume. Madre fruga nel suo cestino da viaggio e distribuisce fette di carne fredda tra pezzi di pane che mangiamo col viso rivolto al cielo.

Abbiamo tempo, la famiglia arriverà appena all'imbrunire.

In un'altra occasione avrei approfittato ancor più della gita. Sicuramente mi sarei impegnato a farmi beffe della sorveglianza di Madre, nascondendo nel mio abito una lenza fornita di un buon amo che, con qualche lombrico trovato nel fango della riva come esca, avrei gettato nella scia della lancia. Ma oggi è un giorno molto speciale; indosso abiti nuovi e puliti, ho la pelle ancora arrossata dallo strofinio e anche i capelli tagliati e ben pettinati. Calzo scomode scarpe che uso di rado e mi è stata chiaramente proibita qualsiasi attività che implichi rischio di sporcizia.

Accade che una settimana fa abbiamo ricevuto la notizia dell'arrivo di vicini e da allora sono stati tutti preparativi e affanni per mettere in ordine la casa, dato che la nuova famiglia resterà con noi fino a quando non edificheranno la loro fattoria molto vicino, dall'altro lato della valle. Genitori erano molto contenti; non li ho mai visti realmente così felici. «Era ora che mandassero gente nella valle!», diceva Padre con la fronte aggrottata, ma lo si notava soddisfatto. «Non potranno lamentarsi, quando siamo arrivati noi abbiamo trovato meno comodità», mormorava Madre in tono aggressivo. Ma strofinava e spazzava e tornava a strofinare perché le stanze dei nostri ospiti brillassero per le tante pulizie.

Anch'io ho ricevuto la mia parte. Durante la settimana sono piovute raccomandazioni e sermoni. I nuovi vicini sono tre: Padre, Madre e Bambina. Dovrò essere amabile e gentile con Bambina, così mi hanno comandato.

Non che accogliere Bambina mi dia fastidio, tutto il contrario. A volte mi sento molto solo e sogno sempre un amico con cui giocare, passeggiare e dividere i lavori alla fattoria.

Quando Muir ha avuto una nidiata, cinque cuccioli tanto divertenti, tutti piume e denti affilati, chiesi a Madre perché lei aveva partorito solo un piccolo e ricevetti una lunga spiegazione che non compresi a proposito di ecologie inquinate, bambini deformi. Madri e Padri sterili o quasi. Madre disse che lei aveva avuto molta fortuna a poter partorire almeno un piccolo così bello e sano, e mi abbracciò, mi strinse e fece tutto quel genere di cose che Madri fanno quando diventano noiose e sciocche.

Ma tornando alla questione di Bambina, come me la caverò a piacerle, cosa posso offrirle? A lei, che giunge nientemeno che da Terra, un mondo meraviglioso, tutto metalli, cemento e vetro. Lo so perché ho visto fino alla noia i filmati che Genitori non si stancano di proiettare ripetutamente. E anche se finiscono sempre rallegrandosi per la loro fortuna ad avere ottenuto un posto per il lancio, a volte rammentano nomi di amici e familiari che restarono su Terra. Perché su Terra tutti hanno nomi, non come qui che siamo tanto pochi e non ne abbiamo bisogno. E mentre ricordano, sospirano con pena e Madre batte veloce le palpebre, come per fermare le lacrime. Terra manca loro e non possono nasconderlo.

Io nacqui a Terradue; non conosco e di certo non conoscerò mai il pianeta di Genitori, ma sogno le sue città avvolte nella nebbia, coi laghi ribollenti delle Zone Contaminate e con i suoi oceani, marroni e densi.

Il minore dei soli è già alto quando l'imbarcazione arriva e mi distoglie dai miei sogni e dalle mie preoccupazioni. È una lancia grande e robusta che batte l'acqua con una grande pala a poppa e getta fumo e scintille dalla ciminiera. Il pilota attracca e il suo aiutante ci porge alcune casse che Padre aveva ordinato tempo fa al magazzino delle forniture. Le ammucchiamo sul molo fino al nostro ritorno e ci sistemiamo su una delle lunghe panche laterali vicino ad un anziano fattore e a sua moglie. Il vecchio risponde con un grugnito al tentativo di Padre di intavolare una conversazione. Madre però ha più fortuna con la donna. Non ci sono bambini; il viaggio fino alla struttura di lancio è lungo e non promette di essere molto divertente.

Dio, come sembrerà noiosa Terradue a Bambina! Ripasso mentalmente il poco svago che posso offrirle, vediamo: un'escursione fino al fossato dove crescono i petali bianchi come il ghiaccio.

Potremmo anche camminare fino al bosco, dagli alberi tanto alti che le loro cime si perdono tra le nubi. È divertente vedere i guzzies dispiegare le loro fini membrane e lanciarsi nel vuoto finché una corrente calda li spinge nuovamente in alto, girando e planando, assorbendo i raggi del sole, alimentandosene e lasciando dietro di sé le faville multicolori dei loro rifiuti.

All'arrivo della stagione calda, cercheremmo piccoli frutti di cimbra, tanto dolci e così difficili da trovare nella macchia... Ma non mancherà a Bambina il sapore delle pillole vitaminiche che si raccolgono su Terra? Non le sembreranno insipidi i nostri cibi in umido e i lessi?

Con uno scossone, la barca attracca al molo. Lontano, la struttura di lancio si staglia nella pianura. Non potremo avvicinarci troppo a causa della polarizzazione dei campi di forza, o qualcosa del genere, spiega Padre. Aspettiamo e aspettiamo, il lancio non ha orario fisso. Lo so per le altre volte, quando venimmo a ritirare attrezzi e semenze che ci inviavano da Terra. Padre protesta perché i lanci sono distanziati: l'evacuazione è lenta, dice, e ne approfitta per ripeterci il suo discorso favorito, come risolvere il problema della gran quantità di energia di cui le apparecchiature di lancio hanno bisogno.

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Endriago
Ma il momento arriva. Ce ne rendiamo conto perché sopra la piattaforma l'aria pare vibrare ed il paesaggio dietro ad essa ondeggia e si deforma. Miriadi di puntini brillanti vorticano e si spostano follemente: intessono l'ordito dei corpi che si materializzano sulla plancia metallica; e malgrado la distanza, il penetrante odore di terra bagnata che caratterizza il lancio arriva fino a noi.

Sono qui. Fermi sulla piattaforma si guardano attorno sconcertati. Non posso distin guere i loro lineamenti, siamo ancora separati dalla fascia di sicurezza, ma mi accorgo che i tre sono molto magri e pallidi. Intravedo la figura di Bambina che si protegge timorosa tra i pochi fagotti che si permettono come equipaggiamento.

Iniziano ad avvicinarsi lentamente. Loro vacillano, guardano il suolo davanti a sé come se all'improvviso si aprisse sotto i loro piedi inghiottendoli. Madre affretta il passo ed allarga le braccia per ricevere l'altra Madre. Anche Padre cammina verso l'altro Padre con un largo sorriso sul suo viso forte e bruno.

Padre di Bambina è il primo a muoversi. Porta avanti un piede, poi l'altro. Sonda diffidente il tappeto d'erba dura e selvatica che cresce vicino alla piattaforma, poi fa qualcosa di tanto insolito che per un momento smetto di osservare Bambina: emette quel che mi pare un singhiozzo e cade sulle ginocchia, coprendosi il volto con le mani. Sento il morale crollarmi ai piedi. È a tal punto sgradevole il nostro mondo che Padre di Bambina rifiuta di guardarlo?

Ma dopo fa qualcosa di ancora più strano: raspa tra l'erba e raccoglie un pugno di terra, la guarda con occhi pieni di lacrime e la lascia sfuggire lentamente. Poi lecca il poco che è rimasto sul suo palmo, lo assapora, lo fa scricchiolare tra i denti e lo inghiotte. Madre abbraccia Madre di Bambina, anche lei piange. Ora Padri si stringono forte le mani e si battono i palmi sulle spalle. In silenzio, come fanno loro, che non sanno mai esprimere con parole quel che sentono.

Io guardo Bambina e Bambina guarda me. È piccola e bionda; i lunghi capelli che le coprono le spalle incorniciano un faccino spruzzato di puntini marroni in cui risaltano gli occhi grandi, color del mare.

Dovrò abituarmi a chiamarla semplicemente Bambina. Il nome di Bambina è Maria.

È bello il nome di Bambina. Maria, ripeto tra me avvicinandomi. Maria, e nelle mie viscere sento straripare un inedito argine, dolorosamente caldo.

Maria, e so, so con certezza che amo Bambina con tutte le forze dei miei tredici anni.

Mi fermo vicino a lei e benché mi manchino le parole ed il mio viso arda come braci, le prometto in silenzio di fare l'impossibile perché sia felice su Terradue e perché mai, mai, sospiri di nostalgia per le meraviglie che abbandonò per sempre nel suo bel mondo.


Titolo originale: MCVI A.S. Traduzione italiana di Bruno Valle.


José Altamirano

L'eterno Adamo n. 3, maggio 1991 Fu Bruno Valle a mettermi in contatto con gli scrittori sudamericani e fu così che conobbi, per via epistolare, José Altamirano, autore che trovò ospitalità per la prima volta in Italia sulla mia rivista con ben tre racconti. Considero MCVI A.S., già pubblicato in Argentina e Uruguay e che nel 1990 aveva ottenuto il 2° premio nella convention nazionale argentina, il migliore racconto pubblicato sull'eterno Adamo nei suoi otto numeri di vita. L'ingenuità, i travisamenti ed i timori di Bambino ne fanno un personaggio di una delicatezza e umanità semplice ma profonda, cui in modo inevitabile ci si rispecchia e ci s'immedesima.



Axxón, 2004
Contact: ecarletti@axxon.com.ar